Un terno al lotto prendere il 66 la mattina. Il tratto di strada che mi separa dall’”infame” bus, o quantomeno dai suoi autisti (o piloti di formula uno), sono circa un centinaio di metri. La mattina qui il vero fresco ancora non si fa sentire, ma il sole é sempre li presente che ti accoglie con quella bella temperatura che se solo lasci l’ombra per sbaglio, il caldo lo senti. Devo percorrere una S per arrivare dall’ “infame”. Non é particolarmente impegnativo, ma il tratto finale é quello che a distanza mi fa vedere la fermata del bus, ed ogni volta che mi affaccio su quel tratto prego che non mi passi davanti agli occhi il maledetto, che poi per aspettare il prossimo, non passa veramente più. Usare Moovit ? l’ho fatto qualche volta, ma essendo una startup israeliana, ho smesso di crederle dopo che mi ha illuso un sacco di volte ad aspettare l’”infame”, facendomi credere che sarebbe arrivato dopo pochi minuti, ma invece mi ha laciato li ad essicare. L’arrivo alla fermata dovrebbe essere santificata con la bandiera a scacchi e magari una secchiata d’acqua fresca in faccia. Vabbe, l’”infame” che poi io chiamo da tempo “randombus”, si fa attendere, quasi fosse una ragazza che aspetti sotto casa per portarla fuori a cena. Moovit ti dice 10 minuti, in verità sai che ti prende in giro, ma tu vuoi credere a qualcosa, ti appendi a qualunque cosa pur di smettere di innervosirti. A distanza arriva un bus ? sarà l’”infame” ? o é il 10 ? …é il 10. Malimorté. Mi tocca stare ancora sotto sta graticola alle 8.30 del mattino. Moovit ormai mi prende in giro, spara numeri a caso, e mi fa credere quasi esista Babbo Natale. Sotto a quel sole credo a qualunque cosa, a Babbo Natale, a Hamas che é buono, a Hezbollah che ci vuole tanto bene, e che la guerra era solo un incubo di un lungo sonno. “Aspetta” mi dico. Vedo qualcosa che assomiglia ad un bus dai colori bianco e blu. Le 200 persone alla fermata iniziano ad affilare le armi. In quelle situazioni come dico sempre, il “rispetto” (parola sconosciuta in Israele), finisce quando si aprono le porte del bus. Ci si guarda, ci si studia. La vecchia si fa vedere, ma poco importa agli altri. C’é poi quella con quello zaino che sembra si porti dietro la casa e non pensa che forse dentro il bus potrebbe dare fastidio ai passeggeri nei momenti in cui la svegliona si gira a destra e sinistra. Il bus inizia ad acquistare nitidezza alla tua vista. E’ lui. E’ l”infame”. Prepari la tua card, affili le armi, carichi la tua stazza, e ti pianti sul terreno, magari dando qualche spintina “inavvertita” qua e la. Si aprono le porte. “Che la guerra abbia inizio”. Tiri su la gamba per salire con la tua faccia appiccicata a quello davanti, e quello dietro che fa lo stesso con te. Scatta la guerra per passare le card. Non te ne accorgi, ma da destra, sinistra, sopra e sotto ti passano le card dei passeggeri scaltri, che approfittano della tua disattenzione per passare il biglietto, o se sei sfortunato per farsi caricare la card con 200 shekel, e quindi costringerti all’attesa per qualche lungo ed interminabile minuto. Una volta svolto l’obbligo, ti addentri all’”infame”. Ti rendi conto solamente dopo aver passato l’autista che l’escursione termica tra l’esterno e l’interno é di circa una quindicina di gradi di differenza. Delle volte le finestre fanno condensa. Parte il gran premio. Il 66 fa un tratto lungo, da Tel Aviv sino a Bnei Braq passando per Ramat Gan dove scendo io. Se non ti tieni bene, l’autista che spesso é Prost, Schumacher, o fate voi, riesce a farti fare acrobazie che solo nei circhi russi riescono a fare. Scendi alla tua fermata, sperando di essere incolume, e dagli orsi bianchi, inizi a vedere i cammelli per strada. La temperatura torna a quei bei 30 mattutini e ti mancano quei trecento metri per entrare in ufficio, ma hai ancora addosso il ghiaccio e contemporaneamente il sole che ti picchia addosso. Arrivi in ufficio, arranchi, passi il badge, e scatta l’applauso. Anche oggi ce l’hai fatta.
Il ritorno non é molto differente, anche se l’uscita stile Fantozzi dall’ufficio si impone, vista la mia voglia di andare a tuffarmi in mare. La temperatura alle 18 é quasi gradevole. Ti tocca prendere l’”infame” di ritorno. Provi a dare un’altra chance a Moovit, vuoi credergli questa volta. Ma ancora una volta ti prende in giro. Tu lo sai che Moovit é un infame come l’autobus, o meglio il randombus, ma tu devi credere a qualcosa. Niente, manco Moovit é più affidabile. La fermata inizia a riempirsi, e la gente inizia a prendere le migliori posizioni per sgomitare e salire sul bus. “Petta, ne vedo uno a distanza”. Mi metto subito in posizione, calcolando la statistica dell’ultimo punto esatto dove si era fermato negli ultimi 15 giorni. Regolarmente sbaglio. Risalgo sul “frigo”, ma ci può stare, dopo la lunga attesa al sole un po’ di frescura te la godi. La mente corre a quello che farai non appena arrivi a casa. I minuti sono importanti. Sono vitali. Scendo davanti a casa, questa volta la S non la devo fare. Salgo, indosso costume e t-shirt, prendo lo zainetto pronto per il mare, cuffiette d’ordinanza e telefono, e mi avvio per quello che aspetto dalla mattina alle 9.
Già uscire in modalità “mare”, mi porta ad un’ altra dimensione. Musica, e “clap clap” delle mie Havayanas d’ordinanza, facendo il “shortcut”, buttandomi su Ben Yehuda, per girare poi su Ben Gurion. A distanza già si vede il sole, ma soprattutto incontri tutti quelli che tornano a casa, mentre tu eri in ufficio a “sgobbare”. Arrivi a Gordon Beach, stendi il tuo asciugamano, via la maglietta, e via in mare a rilassarti.
Inizia a farti compagnia il tramonto su una spiaggia quasi deserta, in un’acqua cosi perfetta, e ti sembra di non essere mai andato a lavorare al mattino. Qualche bracciata, senza troppo impegno, per poi buttarti sull’asciugamano pancia all’aria, e guardare quello che ti circonda a 180 gradi, sguardo a destra e sinistra. La spiaggia inizia a svuotarsi, pochi restano. Il sole scende, offrendoti dei colori che ogni giorno sembrano diversi dal giorno prima, e da quello precedente ancora. Diventa sempre più scuro, ma tu rimani con le tue cuffiette nelle orecchie, e guardi il cielo che diventa più scuro, sino a quando tutto é buio e compaiono le stelle. Che stelle !!. Ti senti in pace col mondo, e senti veramente che puoi affrontare o pianificare qualunque cosa, senti la calma assalirti, il vero relax.
Ti guardi in giro. I campi di pallavolo sono illuminati, la gente gioca. La Tayelet é animata da persone che fanno jogging, camminano, vanno in bici. La spiaggia attorno a te, oramai quasi vuota, presenta solo qualche essere umano, o coppietta che si gode quella brezza sorseggiandosi una birra.
Tutto rallenta, tutto va più piano, anche il tuo cervello che inspiegabilmente delle volte corre come un matto, ma ti accorgi in quei momenti che “chi va piano, va sano e va lontano”.
La mia giornata tipo.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.