Solo una settimana dallo scorso week end, ma circa una decina di giorni da quando Israele ha lanciato l’offensiva Pillar of Defense a Gaza. Lo scorso week end sembra lontano mesi, in verità ci separa solo per una manciata di giorni. Sarà forse l’intensità del tempo passato, giorno per giorno, a tenere le orecchie ben tese a distinguere il reale rumore di una sirena, e a non confonderlo con un’ambulanza, o una moto che accelerava. Tutti tesi come la corda di un violino. Mi rendo conto solamente ora, di non aver combinato veramente niente in ufficio, ma di aver passato il mio tempo alla ricerca di notizie fresche, sull’ offensiva, su quello che scrivevano i giornali in Israele, ed il meno possibile a leggere le bugie, o mezze verità descritte sui media italiani, e non solo. Qualche foto arrivata dal collega chiamato come riservista, e “parcheggiato” alle porte di Gaza in attesa di sapere se entrare o meno. Facce un po’ preoccupate di noi “pivelli”, appena arrivati a vivere in Israele, confronto le facce degli israeliani che questa situazione la vivono da più di sessant’anni, senza nascondere però la paura di avere qualche parente, genitore, fratello, fidanzato, in attesa della chiamata al fronte per combattere, o aiutare i propri commilitoni, ed il loro Stato.
Non so effettivamente cosa cambierà. Il malcontento della gente qui per non aver portato sino infondo l’operazione, non è indifferente. Non si riesce a capire che cosa ci sia dietro ad una tregua voluta fortemente dal governo, ma non accettata dal 70% della popolazione, specialmente nel giorno del vile attentato a Tel Aviv, dove sono rimaste ferite più di venti persone. Si parla di un’operazione “deterrente”. Qualcosa che ha potuto mostrare all’Iran di cosa è capace Israele, in piccolo.
Si parla comunque sempre di guerra, attacchi, per difendere l’esistenza dello Stato di Israele. Circondato da paesi arabi, oramai totalmente islamisti che vogliono solo la distruzione dello Stato ebraico. L’Egitto col suo fratello musulmano, Morsi. La Siria, col suo dittatore Assad, che tutti speriamo finisca presto, ma che siamo sicuri, anzi direi certi, che dopo di lui, non ci sarà certo un presidente, magari eletto democraticamente, che vuole la pace con Israele. Per passare poi al Libano, con un governo di facciata, totalmente diretto da Hezbollah. La Giordania, oggi, ancora non soggetta ad un rovesciamento ed ancora “amico” di Israele, è l’unico a non essere stato ancora influenzato dalla primavera araba, ma che secondo molti, non tarderà ad arrivare anche li.
Quello che veramente mi spiace è, ancora una volta, tornare a convincere le persone che Israele è un paese sicuro, e bello da visitare. Questa operazione lampo sicuramente non ha giovato, e quei pochi che hanno sempre additato Israele come una zona calda per eventuali visite (non per sue colpe), crederanno di avere avuto ragione, e tornare a convincerli non sarà facile.
Per quanto mi riguarda, vero che sono di parte, ho avuto la “fortuna” di avere un’esperienza in Israele in un periodo critico, come in questi ultimi dieci giorni. Ho visto la solidarietà delle persone, dentro l’ufficio e fuori. Ho capito cosa significa vedere un amico partire come riservista. Ho ascoltato la paura delle persone nel ricevere la chiamata per la partenza al fronte. Parliamo di ragazzi trentenni, che non appena lo Stato chiama, vestono la divisa, e partono, ognuno per la loro missione. Provate ad immaginarvi questa situazione in Italia. Impossibile.
La vita è tornata ad essere quella normale, o almeno normale per Israele, anche se ben poche abitudini sono cambiate anche nei giorni scorsi. I ristoranti sono tornati ad essere pieni, cosi come i caffè e le strade di Tel Aviv, come lo erano prima dell’offensiva, e speriamo lo siano fino alla prossima.
Shavua tov (buona settimana, in ebraico), a voi.
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